- On 8 Gennaio 2018
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La Toscana migliore: San Gaudenzio a Ruballa (Certaldo) e la chiesa del XVII secolo
La campagna intorno a Certaldo è ricca di antiche chiese: per molte di queste si è persa, insieme alla comunità di cui per secoli sono state il fulcro vitale, la memoria di quelle vicende e trasformazioni che ne hanno segnato la storia durante i secoli a noi più vicini. Il ritrovamento di vecchie foto, la lettura di antiche lapidi e dei documenti d’archivio ci possono tuttavia aiutare ad accendere una “luce” su questo passato, parte integrante della nostra identità.
E’ questo, ad esempio, il caso della chiesa di San Gaudenzio a Ruballa. Nel 1924, in seguito ai restauri intrapresi da Don Attilio Pratesi, l’antica chiesa venne a perdere l’assetto che le si era dato in epoca moderna. L’intervento di Don Pratesi si collocava entro quella tendenza, iniziata nei primi decenni del XIX secolo (con esiti fino agli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento) volta al “ripristino” del presunto aspetto medievale dei monumenti, caratterizzata dall’affermazione sempre più marcata della prassi della stonacatura (così da mettere in evidenza murature spesso non destinate ad essere lasciate a vista) e accompagnata dalla demolizione di elementi sei-settecenteschi.
Come testimonia una rara immagine risalente ai primi del Novecento, San Gaudenzio presentava un ampio portico che abbracciava la facciata della chiesa e parte della canonica, estendendosi – forse – fino al fronte dell’adiacente Compagnia della Madonna del Carmine (sulla sinistra, istituita l’anno 1691). Suggestiva la facciata della chiesa la quale, anche se occultata dal portico nella sua parte inferiore, è ben leggibile nella parte soprastante il loggiato: il paramento murario a bozze di arenaria (quello che poi verrà “svelato” dai restauri del 1924) era interamente coperto dall’intonaco; il prospetto, rialzato, celava gli spioventi del tetto cui alludono le due volute curvilinee del coronamento che si impostavano sul cornicione aggettante; questo, a sua volta, percorreva la facciata per tutta la sua larghezza.
E sopra il cornicione due “acroteri”, elementi decorativi che ci piace immaginare realizzati in cotto, come se ne vedono ancora sulle facciate sei-settecentesche di alcune antiche ville dei contorni di Firenze. Una, nello specifico, rimanda alla soluzione adottata nel “restiling” della chiesa di San Gaudenzio: si tratta della villa Costa de Suarez (già Capacci Castrucci, poi Dolgoroukoff) situtata al civico 59-61 di via San Leonardo. (http://www.palazzospinelli.org/architetture/scheda.asp…).
Al momento non abbiamo elementi/documenti che permettano di risalire, in maniera certa, alla cronologia della trasformazione tardo barocca di San Gaudenzio: verrebbe tuttavia da collocare questi lavori negli stessi anni in cui fu istituita la Compagnia della Madonna del Carmine, per al quale (1691) venne realizzato un altare in stucco dipinto corredato di tela raffigurante la “Madonna del Carmine che dona lo scapolare a due devoti”. Il tutto commissionato da Antonio Mazzucchielli, membro di una fra le più antiche nonché facoltose famiglie certaldesi, Priore di San Gaudenzio, morto all’età di 78 anni il 21 febbraio 1738, nel cinquantesimo anno del suo priorato (come recita una lapide ancora presente nel coro della chiesa di San Gaudenzio).
Il portico rispondeva ad una delle prescrizioni elencate da Carlo Borromeo nelle “Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo” (1577).
Nel Libro I, cap. IV, dedicato all’atrio, portico e vestibolo della chiesa si legge:
“Vi sarà poi davanti alla chiesa un atrio, fatto su consiglio dell’architetto a seconda dello spazio a disposizione e della struttura dell’edificio, cinto da ogni parte da portici ed ornato decorosamente con altri elementi architettonici. Se poi per la scarsità di spazio o per motivi economici non sia possibile costruirlo, si faccia in modo che davanti alla chiesa vi sia almeno un portico. Questo, costituito da colonne marmoree o pilastri di pietra o in laterizio, uguaglierà in lunghezza tutta la facciata della chiesa e sarà ampio ed alto proporzionalmente alla sua lunghezza.
“Sarà opportuno che ogni chiesa parrocchiale abbia un portico di questo tipo. Se per motivi economici non si potrà avere nemmeno questo, si provveda almeno a costruire davanti alla porta principale un vestibolo di forma quadrata, con solo due colonne o pilastri alquanto distanti da essa; esso sarà un po’ più ampio della porta della chiesa”.
E’ questa la soluzione che vediamo nella vicina Pieve di San Lazzaro a Lucardo [foto 6] dove un portico è ricordato già in essere nel 1599: ” […] Oculus vitratus et fore d. Plebis bene clause cum portico ante hostium principalis […]”.
Non sappiamo come fosse il portico cinquecentesco di questa pieve: un portico retto da due colonne è comunque testimoniato dalla pianta della Pieve di San Lazzaro presente nel Catasto leopoldino del 1819. E un portico, fino agli anni Trenta del Novecento, precedeva la non lontana chiesa di San Donato a Lucardo.
Queste foto sono una rara testimonianza di un periodo della storia, comune a questi antichi edifici, ormai cancellato per sempre.
Dell’antichità di San Gaudenzio a Ruballa, già menzionata nelle Rationes decimarum della fine XIII-inizio XIV secolo, reca testimonianza un turibolo in ottone dorato, databile al XIII secolo, oggi conservato nel Museo di Arte Sacra di Certaldo.
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